venerdì 27 gennaio 2012

Fascist Legacy

Fascist Legacy ("L'eredità del fascismo") è un documentario della BBC sui crimini di guerra commessi dagli italiani durante la Seconda Guerra Mondiale. La RAI acquistò una copia del programma, che però non fu mai mostrato al pubblico. La7 ne ha trasmesso ampi stralci nel 2004. Il documentario, diretto da Ken Kirby, ricostruisce le terribili vicende che accaddero nel corso della guerra di conquista coloniale in Etiopia e negli anni successivi e delle ancora più terribili vicende durante loccupazione nazifascista della Jugoslavia tra gli anni 1941 e 1943. Particolarmente crudele la repressione delle milizie fasciste italiane nella guerriglia antipartigiana in Montenegro ed in altre regioni dei Balcani. Tali azioni vengono mostrate con ottima, ed esclusiva, documentazione filmata di repertorio e con testimonianze registrate sui luoghi storici nella I puntata del film. Il documentario mostra anche i crimini fascisti in Libia e in Etiopia. Nella II puntata il documentario cerca di spiegare le ragioni per le quali i responsabili militari e politici fascisti -colpevoli dei crimini- non sono stati condannati ai sensi del codice del Tribunale Militare Internazionale di Norimberga, per crimini di guerra e crimini contro lumanità. Conduttore del film è lo storico americano Michael Palumbo, autore del libro Lolocausto rimosso, edito -in Italia- da Rizzoli. Nel film vengono intervistati -fra gli altri- gli storici italiani Angelo Del Boca, Giorgio Rochat, Claudio Pavone e lo storico inglese David Ellwood.



Italiani brava gente?
Mha ...

venerdì 20 gennaio 2012

ALCUNE INFORMAZIONI PER CAPIRE MEGLIO GLI EFFETTI DELLE LIBERALIZZAZIONI

lavoce.info


Il decreto di liberalizzazioni approvato dal Governo Monti è riuscito ad aprire settori della nostra economia finora difficili da toccare. Tra i motivi del ritardo con cui l’Italia vara queste norme c’è stata senza dubbio la consistente presenza di rappresentanti delle professioni tra le sedie del Parlamento: in Camera e Senato abbiamo 341 tra avvocati, giornalisti, medici, ingegneri, commercialisti, architetti, notai e farmacisti. Si tratta del 36% dei nostri parlamentari, che saranno presto chiamati a sostenere un decreto che li riguarda personalmente, ma che soprattutto interviene su attività che contribuiscono al Pil fino al 22%.


Le liberalizzazioni favoriranno la crescita, come dimostrato da numerosi studi. Proponiamo alcune letture riguardo la struttura di mercato e le performance del commercio al dettaglio. È stato dimostrato, sia nel caso della Francia che in quello dell'Italia, che restrizioni all’entrata per i grandi negozi non sembrano aiutare i piccoli commercianti, dal momento che le grandi catene di vendita al dettaglio rispondono alle restrizioni aprendo negozi di minori dimensioni, creando condizioni concorrenziali difficili da sostenere; inoltre, un'eccessiva regolamentazione fa diminuire la crescita occupazionale. Altri studi dimostrano come, nel caso inglese, le regolamentazioni restrittive all'ingresso riducano il numero di grandi supermercati e causino un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, con conseguente perdita di benessere per i consumatori.
Un ultimo studio sulle farmacie in Belgio mostra come le restrizioni all'ingresso abbiano avuto un impatto negativo sul benessere dei consumatori e che l'intensa regolamentazione non sia riuscita a garantire la disponibilità dell'offerta su tutto il territorio: con regole meno restrittive si potrebbero avere il doppio delle farmacie, più posti di lavoro ed una migliore copertura territoriale.

(a cura di Francesca Barbiero, Filippo Teoldi, Guido Zichichi)

giovedì 19 gennaio 2012

QUESTO NON È UN FILM - Versione integrale

Una guerra silenziosa sta mietendo decine di vittime. Solo pochi eroi resteranno sul campo a combatterla. Esseri provenienti da pianeti lontani mostreranno il loro lato oscuro, costringendo gli indiani ad uscire dalle riserve. Ma sotto i colpi dell'odio che divide le razze, l'amore riuscirà a trovare il suo spazio, fino a che il ritrovamento di una misteriosa sedia da regista riuscirà a cambiare il destino dei protagonisti. E quello di centinaia di persone.
Realizzata dalla Conferenza Episcopale Italiana.


Fuori i mercanti dal tempio, largo alle persone di buona volontà!

Da Daccò a Ponzoni fino alla “vicenda Obelix” La devozione alle barche di lusso di Formigoni (da ilfattoquotidiano.it)

di Gianni Barbacetto


Secondo il commercialista dell'ex assessore arrestato ieri, il governatore lombardo si è fatto pagare le ferie a cinque stelle. Come nel caso del faccendiere coinvolto nel crack del San Raffaele. Per non parlare dell'imbarcazione acquistata dal gruppo d'acciaio di Comunione e Liberazione per 670 milioni di lire: 200 sono stati pagati in nero


Chissà che cosa pensa don Julián delle vacanze di Roberto Formigoni. Don Julián Carrón è l’erede di don Luigi Giussani che da sette anni guida Comunione e liberazione. I “ciellologi” sostengono stia ora tentando, assieme al cardinale di Milano Angelo Scola, di raddrizzare la rotta al movimento, dopo l’ubriacatura berlusconiana e gli scandali all’ombra del Pirellone.

L’ultimo colpo è stato l’arresto di Massimo Ponzoni, ex assessore del presidentissimo della Regione Lombardia. Il ragioniere che curava i conti (piuttosto disastrati) delle società di Ponzoni,Sergio Pennati, in una sua lettera-testamento scrive: “La stessa Immobiliare Mais ha pagato varie volte noleggi di barche e vacanze esotiche allo stesso Ponzoni e al suo capo Formigoni”. Una società di Ponzoni dunque, la Immobiliare Mais, secondo il ragioniere avrebbe saldato il conto di barche e vacanze al “Celeste”. Più che imbarazzante, se si dimostrasse vero: ma Formigoni ha smentito subito con decisione e ieri ha cinguettato su Twitter: Whoever wishes to delegitimize the political system of the Lombardy Region is deluding himself (Chiunque speri di delegittimare il sistema politico della Regione Lombardia sta deludendo se stesso).

Non può negare di essere salito sullo yacht di un altro arrestato, il faccendiere Piero Daccò: lo incastrano le foto. Pantaloni bianchi, torso nudo o canottiera fucsia, il “Formiga” se la gode in buona compagnia, nel mare cristallino della Costa Smeralda. E Daccò è il mediatore targato Cl accusato dalla Procura di Milano di aver fatto sparire nei suoi conti all’estero i soldi sottratti al San Raffaeledi don Luigi Verzé. E non c’è solo la barca del faccendiere che sussurrava a Formigoni. C’è anche l’aereo di don Verzé. Su quel velivolo il Celeste è volato a Saint Marteen, Caraibi. Parola di Stefania Galli, fedele segretaria di Mario Cal, sventurato braccio destro di don Verzé: “Ricordo che una volta”, detta a verbale, “mi fu chiesto dal dottor Cal di prenotare un volo per Saint Marteen a bordo del quale ci sarebbero stato Daccò e Formigoni”.

Ci aveva provato, a non avere la tentazione di andare sulle barche degli altri. Nei primi anni del Duemila aveva la sua, 15 metri e due motori da 400 cavalli: Obelix, ormeggiata nel porto diLavagna, in Liguria. Oddio, non era proprio sua: in quanto membro dei Memores Domini, nucleo d’acciaio di Cl, ha fatto il voto di povertà, oltre che di obbedienza e di castità. Era una barca comunitaria, Obelix, proprietà collettiva dei Memores. Il vecchio proprietario, Adelio Garavaglia, l’aveva venduta nel 2002 a persone tutte del “Gruppo Adulto” di Cl: Fabrizio Rota, Alberto Perego, Alfredo Perico e Formigoni. In più, c’era anche Oriana Ruozi, unica non appartenente ai Memores e moglie di Mazarino De Petro, braccio destro del presidentissimo (condannato e poi prescritto per le tangenti degli affari petroliferi Oil for food con Saddam).

Garavaglia aveva incassato 670 milioni di lire, 470 dichiarati e 200 in nero. Il pagamento di Obelix è un’avventura. Formigoni versa a Garavaglia 111 mila euro dai suoi conti: 10 mila nel gennaio 2002 con un assegno della Banca Popolare di Sondrio; 51 mila euro nel febbraio 2002 con un bonifico che parte dalla Banque Populaire d’Alsace; e 50 mila euro nel luglio 2002 con un altro assegno della Popolare di Sondrio. Il resto lo paga De Petro un po ’ alla volta, per lo più in contanti. Racconta Garavaglia: “Ci incontravamo nei fine settimana a Lavagna, nei pressi della mia ex imbarcazione; io chiedevo a De Petro se avesse portato qualcosa per me, e lui tirava fuori dal suo borsello a tracolla mazzette di banconote tenute insieme da un elastico, sempre tra i 10 e i 15 mila euro per volta”. In altre occasioni, Garavaglia incassava assegni, a volte intestati a nomi falsi (gli inesistenti Carlo Rossi e Giancarlo Rossi). I Memores si affollano a portar soldi per pagare Obelix. Alberto Villa, per esempio, versa 10 mila euro presi da una cassetta di legno che tiene sotto il letto. È “la mia esigua quota di partecipazione”, spiega al pm Alfredo Robledo. Quando questi gli dice che dagli atti non risulta tra i proprietari, Villa cade dalle nuvole: “Apprendo solo in questa sede di non avere alcuna partecipazione nella proprietà dell’imbarcazione, ero convinto di esserne proprietario anch’io”.

Chissà se don Julián Carrón sa queste cose. Dicono che il suo programma sia ora quello di mettere al riparo Cl-movimento ecclesiale da Cl-Compagnia delle Opere-movimento economico e politico. Ha addirittura minacciato di dimettersi e di tornarsene in Spagna: vedremo chi vincerà, tra l’erede spirituale di don Giussani e il presidentissimo dalle vacanze pericolose.


Quel Gesù di Nazareth che non ci pensò un minuto a scacciare con forza i mercanti dal tempio di Gerusalemme e che sosteneva l’impopolare parere secondo il quale non era possibile servire a due padroni, Dio e mammona, che cosa penserebbe oggi se sapesse che proprio coloro che si dichiarano i suoi epigoni non solo accolgono a braccia aperte nei propri templi mercanti di ogni genere (compresi quelli senza scrupoli), ma sembrano anche devoti del dio denaro?

Paolo di Tarso che definiva l’amore per il denaro «la radice di tutti i mali» e il grande dottore della chiesa Tommaso d’Aquino che, chiosando il detto paolino, sottolineava come il cristiano dovesse «desiderare il possesso delle ricchezze in quanto necessarie alla vita» e non superare assolutamente questa misura, che cosa penserebbero se potessero essere edotti del “libero pensiero” della chiesa cattolica attuale in merito alle questioni finanziarie? ... (Anna Rita Longo)

mercoledì 18 gennaio 2012

LA TELEFONATA DURANTE LA TRAGEDIA CON LA CAPITANERIA DI PORTO DI LIVORNO di Luca Telese (da Il Fatto Quotidiano)

L’urlo di De Falco a Schettino: “Vada a bordo cazzo!”

   VADABBORDOCAZ-ZO!”. Mai avremmo potuto immaginare, nella infinita e drammatica comédie humaine squadernata dal naufragio del Concordia, con le sue nefandezze e le sue pagine straordinarie, mai avremmo creduto che quella catastrofe sarebbe diventata una metafora della nostra storia nazionale, che quei personaggi si sarebbero tramutati in maschere e simboli, che quel grido (auto) intercettato del comandante Gualtiero De Falco al capitano Schettino avrebbe così rapidamente acquisito la sonorità accattivante e campionabile dello slogan, rimbalzando da un capo all’altro della rete.
   CERTO, come abbiamo già provato a dire, il gioco degli stereotipi rende caricaturale la realtà invece che spiegarla: tutti dovremmo rifuggire alla tentazione della semplificazione consolatoria, al gioco degli eroi buoni da opporre ai cattivi turpi, degli angeli che combattono contro i “Capitan Codardo”, che – quando esistono – non sono mai figli di una follia individuale, ma di un sistema che la rende possibile. Ma è altrettanto certo che, nello stesso momento in cui ci chiediamo quanti Schettino ci siano nelle nostre istituzioni, selezionati dall’Italia del demerito, quel grido diventa una bandiera. È vero che mentre si crocifigge il capitano in fuga (occultata oltre il limite della decenza) sulla scialuppa con i suoi ufficiali, nello stesso attimo in cui questa immagine diventa così mediatica da tra-mutarsi in un frammento della campagna per la corsa al-l’Eliseo (Hollande usa l’icona del capitano inetto contro Sarkozy) e in una clava con cui i quotidiani stranieri danno sfogo al loro sentimento anti-italiano e alla loro tentazione sciovinista, proprio in questo momento l’ululato di De Falco diventa il catalizzatore positivo dell’“altra Italia”. “Vadabbordocazzo!” siamo noi, direbbe Francesco De Gregori.
   È IL PAESE meraviglioso degli abitanti del Giglio che corrono al soccorso, prima ancora che suonino le sirene degli allarmi. È l’Italia del parroco don Lorenzo che apre la Chiesa nella notte della tragedia. Del vicesindaco che porta aiuti, del commissario di bordo Manrico Giampredoni che sul ponte resta intrappolato sotto il frigorifero con la gamba fracassata perché ha cercato di salvare vite. È il sorriso timido 
di Giuseppe Girolamo, il batterista di bordo che già imbarcato lascia il posto in scialuppa a un bambino e che ora è disperso. È l’Italia di De Falco che giustamente si schermisce e dice a Il Tirreno: “Abbiamo fatto solo il nostro dovere, cioè portare a regime il soccorso”. Poi denuncia le omissioni e le bugie di Schettino, “il fatto che il comandante parlasse di guasto elettrico non tornava con l'invito ai passeggeri di indossare i giubbotti di salvataggio. Un comandante serio non può far preoccupare inutilmente i suoi passeggeri facendo loro indossare i giubbotti se non è necessario”. E subito dopo: “La Capitaneria è un’istituzione sana, bellissima, semplice: io sono innamorato del lavoro che faccio”.
   EPPURE MENTRE De Falco resta con i piedi a terra, il suo slogan da maestro involontario vola: diventa un top tweet di Twitter, l’immagine dell’istituzione che c’è, che vigila, e che non si accontenta di una versione di comodo.
   Se l’Italia cialtrona degli Schettino borbotta scuse inverosimili, infatti, quella dei 
De Falco la inchioda alle sue contraddizioni. Non ci dovrebbe essere nulla di eroico, in questo, se non che in questi tempi la normalità si trasfigura in eroismo. “Vadabbordocazzo!”, infine, è un’altra immagine importante, la rottura di un altro falso stereotipo che in questi anni ci é stato propinato come verità di fede: é lo Stato che é più serio del Mercato, il decoro dell’istituzione marina contro la flottiglia low cost per abbattere le spese. É il richiamo alla regola, contro l’ubriacatura dell’arbitrio.
   Molti dicono: ma De Falco sapeva di essere registrato. È vero, ovviamente, ed è lui stesso che lo comunica al comandante della Concordia. Eppure non è l’imprecazione che rende bello quel documento, ma l’investigazione: l’uomo della Capitaneria (e questa è la parte più interessante del suo racconto) usa l’autorità per far cadere il castello di bugie. Non si fa abbindolare. Ce n’è in questo paese, di finti capitani, coraggiosi quasi mai, che dovrebbero scendere dalle scialuppe e obbedire a quell’ordine perentorio: “Percorra in senso inverso le scale di biscaggina!”. Il senso inverso – ovviamente – alla rotta della fuga.

Casta Crociere di Marco Travaglio (da Il Fatto Quotidiano))


Ora diranno che noi italiani non riusciamo a diventare seri nemmeno nelle tragedie, anzi riusciamo subito a trasformarle in macabre farse. Gli altri hanno il Titanic, noi la Concordia. L’italianissima “nave più grande del mondo” che, già per com’è posizionata, mezza sott’acqua e mezza sopra con uno squarcio nella chiglia, è la migliore icona del paese che siamo. Più che un naufragio, una parabola. Del capitano Schettino sappiamo tutto e forse, si spera, anche troppo. Ma non era mica solo, sulla nave. Invece è come se lo fosse: se il comandante impazzisce, o si ubriaca, o picchia la testa, non c’è niente da fare. Nessun controllo, nessuna valvola di salvaguardia. 

Un uomo solo al comando, con potere di vita e di morte su tutti gli altri. E, se dà via di matto o semplicemente si fa gli affari suoi, peggio per noi. 


Vi ricorda qualcosa? 


Poi ci sono i passeggeri, che al “si salvi chi può” danno il meglio, ma anche il peggio. Uno, accecato dalla disperazione, strappa il salvagente al vicino e lo lascia affogare. Altri fanno a botte o calpestano la massa per arrivare prima alle scialuppe saltando la fila e, conquistato un posto sulla barchetta, scacciano i bambini o i vecchi o le donne o disabili perché “non c’è più posto”. 


Vi ricordano qualcuno? 


Il “particulare”, lo chiamava Guicciardini. Poi c’è Costa Crociere, che prima difende il comandante e poi lo scarica, dichiarandosi parte lesa perché ha fatto tutto da solo (ma proprio perché poteva fare tutto da solo Costa Crociere non è parte lesa). 


Vi ricorda qualcuno? 


E siamo a Schettino, per gli amici “Top Gun”, che nelle interviste fa il ganassa con le battute sul Titanic. Se c’era bisogno di qualcuno che rinfocolasse i luoghi comuni sull’italiano in gita, eccolo pronto alla bisogna. Il tipico fesso che si crede furbo, ganzo, fico. Il bullo abbronzato coi ricci impomatati e i Ray-ban neri che conosce le regole e le rotte, ma è abituato ad aggirarle, a smussarle. C’è l’amico di un amico a riva da salutare a sirene spiegate? Che problema c’è, se po’ fa’. C’è da accostare per il rito dell’“inchino” ai turisti portati dalla proloco? Ma per carità, si accosta. Accosta Crociere. Perepèèèèè. Crash! Ops, uno scoglio. E lui dov’è, al momento del cozzo? 
Una turista olandese giura che era al bar a farsi un drink con una bella passeggera appena rimorchiata. Perché la patonza deve girare, no? 
A quel punto, con la nave gonfia d’acqua, si chiama la Capitaneria per dire “Tutto ok, positivo”. Poi si parla di “guasto a un generatore”. Minimizzare, sopire, troncare finché si può. Crisi? Quale crisi? I ristoranti sono pieni, le stive pure. L’affondamento è solo psicologico, il classico naufragio percepito. Basta non parlarne e sparisce.Negare tutto, anche l’evidenza. Infatti è la Capitaneria a informarlo che la sua nave affonda. 
E allora “abbandonate la nave”: lui per primo, assicurando però “stavo a poppa, ora torno sul ponte, a bordo ci sono solo 2-300 persone” (sono ancora tutte e 4 mila, però il vero bugiardo dà sempre cifre false ma precise). Il solito De Falco – c’è sempre un De Falco sulla rotta dei furbi fessi – lo sgama: “Ma lei è a bordo?”. “No”. “Vada a bordo, cazzo! È un ordine”. “Sono qua sotto a coordinare i soccorsi, ora vado a bordo”. Invece è già all’asciutto, aggrappato a uno scoglio. Verrà avvistato sulla banchina mentre aspetta il taxi per l’hotel Bahamas. 
Manca ancora un ingrediente: la telefonata a mammà. “Sto bene, ho cercato di salvare i passeggeri”. Come si chiama mammà? Rosa, e come se no? Lui intanto mente pure sull’ultima manovra: “L’ho fatta io per facilitare i soccorsi”. Invece l’han fatta le correnti. Poi pesca a piene mani dall’inesauribile serbatoio dello scusario vittimistico nazionale: tutta colpa di “uno sperone di roccia non segnalato, la carta nautica dice che non doveva essere lì”. Il solito complotto degli speroni rossi, degli scogli spuntati a sua insaputa: se Vespa lo chiama a Porta a Porta, lui tira fuori il plastico. Non resta che svignarsela nella notte, quatto quatto, “per senso di responsabilità”, lasciando fare agli altri, ai tecnici. 


Vi ricorda qualcuno? 


Tipo un altro che aveva cominciato sulle navi da crociera?

martedì 17 gennaio 2012

Costa, Concordia, Schettino, De Falco

Concordia: audio Schettino - Capitaneria di bordo





De Falco: «Sono De Falco da Livorno, parlo con il comandante? 
Schettino: «Sì, buonasera comandante De Falco»
De Falco: «Mi dica il suo nome per favore»
Schettino: «Sono il comandante Schettino, comandante»
De Falco: «Schettino? Ascolti Schettino. Ci sono persone intrappolate a bordo. Adesso lei va con la sua scialuppa sotto la prua della nave lato dritto. C'è una biscaggina. Lei sale su quella biscaggina e va a bordo della nave. Va a bordo e mi riporta quante persone ci sono. Le è chiaro? Io sto registrando questa comunicazione comandante Schettino...».
Schettino: «Comandante le dico una cosa...»
De Falco: «Parli a voce alta. Metta la mano davanti al microfono e parli a voce più alta, chiaro?».
Schettino: «In questo momento la nave è inclinata...».
De Falco: «Ho capito. Ascolti: c'è gente che sta scendendo dalla biscaggina di prua. Lei quella biscaggina la percorre in senso inverso, sale sulla nave e mi dice quante persone e che cosa hanno a bordo. Chiaro? Mi dice se ci sono bambini, donne o persone bisognose di assistenza. E mi dice il numero di ciascuna di queste categorie. E' chiaro?
Guardi Schettino che lei si è salvato forse dal mare ma io la porto... veramente molto male... le faccio passare un'anima di guai. Vada a bordo, cazzo!»

Schettino: «Comandante, per cortesia...»
De Falco: «No, per cortesia... lei adesso prende e va a bordo. Mi assicuri che sta andando a bordo...».
Schettino: «Io sto andando qua con la lancia dei soccorsi, sono qua, non sto andando da nessuna parte, sono qua...»
De Falco: «Che sta facendo comandante?»
Schettino: «Sto qua per coordinare i soccorsi...»
De Falco: «Che sta coordinando lì? Vada a bordo. Coordini i soccorsi da bordo. Lei si rifiuta? 
Schettino: «No no non mi sto rifiutando».
De Falco: «Lei si sta rifiutando di andare a bordo comandante?? Mi dica il motivo per cui non ci va?» 
Schettino: «Non ci sto andando perché ci sta l'altra lancia che si è fermata...».

De Falco: «Lei vada a bordo, è un ordine. Lei non deve fare altre valutazioni. Lei ha dichiarato l'abbandono nave, adesso comando io. Lei vada a bordo! E' chiaro? Non mi sente? Vada, mi chiami direttamente da bordo. Ci sta il mio aerosoccorritore lì».
Schettino: «Dove sta il suo soccorritore?»
De Falco: «Il mio soccorritore sta a prua. Avanti. Ci sono già dei cadaveri Schettino». 
Schettino: «Quanti cadaveri ci sono?» 
De Falco: «Non lo so.. Uno lo so. Uno l'ho sentito. Me lo deve dire lei quanti ce ne sono, Cristo».
Schettino: «Ma si rende conto che è buio e qui non vediamo nulla ...».
De Falco: «E che vuole tornare a casa Schettino? E' buio e vuole tornare a casa? Salga sulla prua della nave tramite la biscaggina e mi dica cosa si può fare, quante persone ci sono e che bisogno hanno. Ora!».

Schettino: «(...) Sono assieme al comandante in seconda».
De Falco: «Salite tutti e due allora. (...) Lei e il suo secondo salite a bordo, ora. E' chiaro?». 
Schettino: «Comandà, io voglio salire a bordo, semplicemente che l'altra scialuppa qua... ci sono gli altri soccorritori, si è fermata e si è istallata lì, adesso ho chiamato altri soccorritori...».
De Falco: «Lei è un'ora che mi sta dicendo questo. Adesso va a bordo, va a B-O-R-D-O!. E mi viene subito a dire quante persone ci sono».
Schettino: «Va bene comandante»
De Falco: «Vada, subito!»


Naufragio Concordia, un passeggero: "Soccorsi inadeguati"

domenica 15 gennaio 2012

“Caro Monti, venga a L’Aquila Noi sedotti e abbandonati”


Lettera dell'assessore alla cultura, Stefania Pezzopane al capo del governo. "Viviamo un'emergenza sociale. Il premier venga qui per capire". Il sindaco Massimo Cialente ai microfoni de ilfattoquotidiano.it: "Cantieri fermi in centro. E ci sono ancora dei terremotati negli alberghi dopo oltre mille giorni dal sisma"
Caro Presidente Monti, il 2012 per L’Aquila è iniziato con una proroga di tre mesi dell’Ordinanza per l’emergenza da parte del Suo governo. Si tratta di una misura necessaria, ma non sufficiente. Ci auguriamo tutti che con il nuovo anno – e soprattutto con questo nuovo governo – si inauguri una nuova fase, che segni l’avvio della ricostruzione vera. Quello di cui hanno bisogno davvero la nostra città e l’intero Cratere è la predisposizione di misure organiche, che cedano il passo a ordinanze provvisorie e contraddittorie, che rendono ancora più precarie le nostre condizioni. Non possiamo e non vogliamo continuare a vivere come funamboli, costretti a chiedere proroghe ogni sei mesi per misure necessarie, che servono a ricostruire una città distrutta dal sisma e a rimettere in piedi le vite di 70 mila aquilani, 100 mila nel Cratere. Perché a L’Aquila l’emergenza c’è ancora, nonostante i riflettori si siano spenti da tempo e sia passato un messaggio rassicurante che qui sia stato compiuto un vero miracolo.

venerdì 13 gennaio 2012

Il patto scellerato di ROBERTO SAVIANO

NON TIRI un sospiro di sollievo, Onorevole Cosentino, trattenga ancora il fiato. Non creda che questa congiura dell'omertà che si è frapposta tra lei e le richieste della magistratura, possa sottrarla dal dovere di rispondere di anni di potere politico esercitato in uno dei territori più corrotti del mondo occidentale. Non tiri un sospiro di sollievo, Onorevole Cosentino, perché quel fiato non dovrà usarlo solo per rispondere ai giudici. Il fiato che risparmierà lo deve usare per rispondere a chi ha visto come lei ha amministrato - e lo ha fatto nel peggiore dei modi possibile - la provincia di Caserta, plasmando una forma di contiguità, i tribunali diranno se giudiziaria ma sicuramente culturale, con la camorra. Onorevole Cosentino, per quanto ancora con sicumera risponderà che le accuse contro di lei sono vacue accuse di collaboratori di giustizia tossicodipendenti. I pentiti non accusano nessuno, dovrebbe saperlo. I pentiti fanno dichiarazioni e confessioni; i pm ne riscontrano l'attendibilità ed è l'Antimafia a formulare l'accusa, non certo criminali o assassini. Lei, ribadisco, non è accusato da pentiti, lei è accusato dall'Antimafia di Napoli. Ma anche qualora i tribunali dovessero assolverla, lei per me non sarebbe innocente. E la sua colpevolezza ha poco a che fare con la fedina penale. La sua colpa è quella di avere, per anni, partecipato alla costruzione di un potere che si è alimentato di voti di scambio, della selezione dei politici e degli imprenditori peggiori, il cui unico talento era l'attitudine al servilismo, all'obbedienza, alla fame di ricchezza facile. Alla distruzione del territorio. La ritengo personalmente responsabile di aver preso decisioni che hanno devastato risorse pubbliche, impedito che nelle nostre terre la questione rifiuti fosse gestita in maniera adeguata. Io so chi è lei: ho visto il sistema che lei ha contribuito a produrre e a consolidare che consente lavoro solo agli amici e alle sue condizioni. Ho visto come pretendevate voti da chi non aveva altro da barattare che una "x" sulla scheda elettorale. Sono nato e cresciuto nelle sue terre, Onorevole Cosentino, e so come si vincono le elezioni. So dei suoi interessi e con questo termine non intendo direttamente interessi economici, ma anche politici, quegli interessi che sono più remunerativi del danaro perché portano consenso e obbedienza. Interessi nella centrale di Sparanise, interessi nei centri commerciali, nell'edilizia, nei trasporti di carburante, so dei suoi interessi nel centro commerciale che si doveva edificare nell'Agro aversano e per cui lei, da quanto emerge dalle indagini, ha fatto da garante presso Unicredit per un imprenditore legato ad ambienti criminali. Onorevole Cosentino, per anni ha taciuto sul clan dei casalesi e qualche comparsata ai convegni anticamorra o qualche fondo stanziato per impegni antimafia non possono giustificare le sue dichiarazioni su un presunto impegno antimafia nato quando le luci nazionali e internazionali erano accese sul suo territorio. Racconta che don Peppe Diana sia suo parente e continua a dire essere stato suo sostenitore politico. La prego di fermarsi e di non pronunciare più quel nome con tanta disinvoltura. È un uomo già infangato per anni, i cui assassini sono stati difesi dal suo collega di partito Gaetano Pecorella, peraltro presidente della commissione bicamerale sulle ecomafie e membro della Commissione Giustizia. Perché non è intervenuto a difendere la sua memoria quando l'Onorevole Pecorella dichiarava che il movente dell'omicidio di Don Diana "non era chiaro" gettando, a distanza di anni, ancora ombre su quella terribile morte? Come mai questo suo lungo silenzio, Onorevole Cosentino? Sono persuaso che lei sappia benissimo quanto conti questo silenzio. È il valore che ha trattato in queste ultime ore con i suoi alleati politici. È questo suo talento per il silenzio a proteggerla ora. E' scandaloso che in Parlamento si sia riformata una maggioranza che l'ha sottratta ai pubblici ministeri. Ma in questo caso nessuno, nemmeno Bossi - anche al prezzo di spaccare la Lega- poteva disubbidire agli ordini di un affannato Berlusconi. Perché lei, Onorevole Cosentino, rappresenta la storia di Forza Italia in Campania e la storia del Pdl. E lei può raccontare, qualora si sentisse tradito dai suoi sodali, molto sulla gestione dei rifiuti, e sulle assegnazioni degli appalti in Campania. Può raccontare di come il centro sinistra con Bassolino, abbia vinto le elezioni con i voti di Caserta e come magicamente proprio a Caserta il governo di centro sinistra sia caduto due anni dopo. Lei sa tutto, Onorevole Cosentino, e proprio ciò che lei sa ha fatto tremare colleghi parlamentari non solo della sua parte politica. Sì perché lei in Campania è stato un uomo di "dialogo". Col centro sinistra ha spartito cariche e voti. Onorevole Cosentino, so che il fiato che la invito a risparmiare in questo momento lo vorrebbe usare come fece con Stefano Caldoro, suo rivale interno alla presidenza della Regione. Ha cercato di far pubblicare dati sulla sua vita privata. Ha cercato di trovare vecchi pentiti che potessero accusarlo di avere rapporti con le organizzazioni criminali. Pubblicamente lo abbracciava, e poi lanciava batterie di cronisti nel tentativo di produrre fango. Onorevole Cosentino, so che in queste ore sta pensando a quanti affari potrebbe perdere, all'affare che più degli altri in questo momento le sta a cuore. Più del centro commerciale mai costruito, più dei rifiuti, più del potere che ha avuto sul governo Berlusconi. Mi riferisco alla riconversione dell'ex aeroporto militare di Grazzanise in aeroporto civile. Si ricorda la morte tragica di Michele Orsi, ammazzato in pieno centro a Casal di Principe? Si ricorda la moglie di Orsi cosa disse? Disse che lei e Nicola Ferraro eravate interessati alla morte di suo marito. Anche in quel caso ci fu silenzio. Michele Orsi aveva deciso di collaborare con i magistrati e stava raccontando di come i rifiuti diventano soldi e poi voti e poi aziende e poi finanziamenti e poi potere. Lei si è fatto forte per anni di un potere basato sull'intimidazione politica e mi riferisco al sistema delle discariche del Casertano che a un solo suo cenno avrebbero potuto essere chiuse perché la maggior parte dei sindaci di quel territorio erano stati eletti grazie al suo potere: il destino della monnezza a Napoli - cui tanto si era legato Berlusconi - era nelle sue mani. Onorevole Cosentino, non tiri un sospiro di sollievo, conservi il fiato perché le assicuro che c'è un'Italia che non dimenticherà ciò che ha fatto e che potrebbe fare. Non si senta privilegiato, non la sto accusando di essere il male assoluto, è solo uno dei tanti, ahimè l'ennesimo. Lei per me non è innocente e non lo sarà mai perché la camorra che domina con potere monopolistico ha trovato in lei un interlocutore. Non aver mai portato avanti vere politiche di contrasto, vero sviluppo economico in condizioni di leale concorrenza e aver difeso la peggiore imprenditoria locale, è questo a non renderle l'innocenza che la Camera dei Deputati oggi le ha tributato con voto non palese. Onorevole Cosentino prenderà questo atto d'accusa come lo sfogo di una persona che la disprezza, può darsi sia così, ma veniamo dalla stessa terra, siamo cresciuti nello stesso territorio, abbiamo visto lo stesso sangue e abbiamo visto comandare le stesse persone, ma mai, come dice lei, siamo stati dalla stessa parte.

giovedì 5 gennaio 2012

Gli ispettori del fisco a Cortina:


- incassi ristoranti: +300% rispetto un anno fa (+110% rispetto al giorno prima), 


- incassi bar: +40% (+ 104% rispetto al giorno prima),


- incassi negozi di lusso: +400% (+106% rispetto al giorno prima),


- auto di lusso privati: 32% hanno dichiarato redditi minori di 30000 euro, 12% minori di 50000, 


-auto di lusso società: 16% hanno dichiarato di essere in perdita, 31% hanno dichiarato meno di 50000 lordi.


Fabrizio Cicchitto: “Coloro che sovrintendono alla lotta all’evasione fiscale e in primo luogo il dottor Attilio Befera (il direttore dell’Agenzia delle Entrate) devono avere la consapevolezza che operazioni come quelle fatte a Cortina, con controlli a tappeto in tutta un’area solo perché presumibilmente popolata in queste vacanze da ricchi, sono del tutto inaccettabili e chiaramente ispirate ad una confezione ideologica del controllo fiscale”.


... insomma i controlli sui fannulloni vanno bene (e vanno benissimo), quelli sui ricconi, anzi finti poveri ma veri ricconi, alla faccia di chi si deve dissanguare per pagare l'ultimo cent di tassa, no ...

Cicchitto ....

Mortacci vostri



di Marco Travaglio
 Uccisi dalle tasse”, titolava ieri il Giornale di zio Tibia, al secolo Sallusti. 
Poi sottotitolava: “Ieri ancora un suicidio, e fanno 13. Gli imprenditori sono disperati, ma nessuno li difende”. Sarebbe il caso di aggiungere che quelli disperati sono gli imprenditori onesti, non certo gli evasori: quel che è saltato fuori a Cortina nella prima visita della Guardia di Finanza da almeno vent’anni a questa parte parla da sé. Ma, soprattutto, sarebbe il caso di ricordare chi ha governato dal 2008 al 2011: l’unico premier al mondo che, mentre gli altri combattevano la crisi, la negava. “Crisi psicologica”. Colpa di Annozero e dei “programmi Rai che diffondono pessimismo, panico e sfiducia” e dei giornali che “sono essi stessi fattori di crisi”. Ma anche delle agenzie di rating, “le organizzazioni internazionali che un giorno sì e uno no dicono: deficit +5%, consumi -5%, crisi di qui crisi di là, crisi fino al 2011: un disastro! Chiudiamogli la bocca”. La famosa crisi percepita, un fenomeno di autosuggestione collettiva. “Tranquilli, abbiamo l’83% di case di proprietà, più auto e più telefonini di ogni altro paese europeo” e poi“ gli aerei e i ristoranti sono pieni”. Un giorno ammise che la crisi c’era, ma “ne usciremo prima degli altri perché siamo i migliori”. “Siamo in piena ripresa”, si portò avanti Brunetta. E B., l’autunno scorso: “il Paese è solido, la crisi è colpa dei mercati che – diceva mio padre – sono orologi rotti”. E pure della magistratura, altro noto “fattore di crisi”. Intanto nel Nordest si ammazzavano imprenditori su imprenditori: ma guai a parlarne, per non diffondere pessimismo. Il 27 marzo 2010 il vicepresidente di Confindustria Alberto Bombassei rivelò davanti al presidente Napolitano e al governatore Draghi: “Solo nel Nordest, da inizio crisi a oggi, ci sono stati 18 suicidi di imprenditori: questo per dire quanto sia crudele e drammatica la situazione”. Nei tre giorni seguenti la rassegna stampa della Camera raccoglie 168 fra articoli e prime pagine del Giornale: ma cercarvi le parole “suicidi” e “Bombassei” è sforzo vano. Governava B., dunque il suicidio degl’imprenditori “uccisi dalle tasse” era un perfido esercizio di antiberlusconismo. Ora che invece governa Monti (da 50 giorni), allora sì che gli imprenditori suicidi, anzi “uccisi dalle tasse” fanno notizia e meritano la prima pagina. Dove quel gran genio di Nicola Porro ci spiega che “la crisi economica è seria” (benvenuto!) e “il fenomeno dei suicidi è una costante”, ma “ciò che cambia è che l’urlo di disperazione e di rabbia dei nostri concittadini questa volta ha un indirizzo ben preciso: lo Stato”. Ecco, “questa volta” il suicida è “ucciso dalle tasse”. E chi le ha messe, le tasse? La sinistra e Monti, ça va sans dire. B. invece, com’è noto, le toglieva. E pazienza se la pressione fiscale è aumentata proprio sotto il governo dell’uomo che prometteva “due sole aliquote del 23 e del 33%” e giurava di non aver “mai messo le mani nelle tasche degli italiani”. Infatti dal recente libro Tassati e mazziati di Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre, si scopre che “lo Stato preleva ai contribuenti onesti il 51% del reddito lordo” fra tasse dirette, indirette e occulte. Il Tax Freedom Day, cioè il giorno dell’anno in cui possiamo finalmente metterci in tasca tutta la nostra paga senza prelievi fiscali, nel 2000 (ultimo anno della legislatura del centrosinistra) arrivava il 1° giugno. Nel 2010, dopo sette anni su dieci con B. al governo, s’era spostato al 6 giugno. Brutta bestia, il doppiopesismo. Ci sono giornali filomontiani “a prescindere”, che ogni giorno “aprivano” con lo spread alto finché governava B e, ora che governano i tecnici e i sobrii, lo tengono basso anche se resta alto come prima. E c’è il Giornale, che contravviene addirittura alla regola della “Livella” di Totò (almeno davanti alla morte siamo tutti uguali): zio Tibia divide i suicidi in due categorie: quelli di serie A, che si tolgono la vita sotto Monti; e quelli di serie B che, essendosela tolta sotto Berlusconi, sono un po’ meno morti. Anzi, è come se fossero ancora vivi.