venerdì 30 dicembre 2011

Punito il giudice Sansa: osò criticare B. (Marco Franchi, Il Fatto Quotidiano)

DEFINÌ “GAGLIOFFI” GLI ESPONENTI DELL’ALLORA GOVERNO, PER IL CSM È “AGGRESSIONE ALLA REPUTAZIONE”



La Cassazione conferma: censura disciplinare a un magistrato che ha criticato il governo Berlusconi durante un’assemblea dell’Associazione Nazionale Magistrati. Ad Adriano Sansa, presidente del Tribunale dei Minori di Genova, è riuscita un’impresa di cui non erano stati capaci magistrati protagonisti di imbarazzanti intercettazioni e frequentazioni emerse nelle inchieste Calciopoli, P3 e P4. 
Nessun provvedimento disciplinare era stato preso nei loro confronti. Censura per Sansa, dunque. 
Viene confermata la decisione del Consiglio Superiore della Magistratura. 
Il caso scoppia nel 2008, all’epoca delle accesissime polemiche sulla politica giudiziaria del governo Berlusconi e sulle leggi ad personam. L’Anm di Genova convoca un’assemblea. Viene invitato a parlare Sansa, che negli anni Settanta faceva parte dei cosiddetti Pretori di Assalto, protagonisti delle prime inchieste italiane sulla corruzione (scandalo dei petroli) e sull’ambiente. 
Sansa non risparmia le critiche dure al Cavaliere e al Governo: occorre una “resistenza della cultura e della coscienza al disegno di assoggettare la legge a un gruppo di potere, a un primo ministro piduista circondato da persone che servono lui e non lo Stato”. 
Ancora: “Questo governo è indegno di affrontare il tema della giustizia, con un Guardasigilli il cui unico merito è di essere un fedelissimo di Berlusconi. Dobbiamo pensare a preparare l’altra riforma, quella che, andati via certi gaglioffi, ripristinerà la giustizia”.
QUELLA PAROLA, “gaglioffi”, dà il via al procedimento disciplinare. Sansa, si legge negli atti, è incolpato di “deliberata e gratuita aggressione alla dignità e alla reputazione degli esponenti del Governo” e quindi di “lesione dell’immagine della figura del magistrato”. Sansa non fa un passo indietro, difende il diritto di critica. 
Nella sua memoria difensiva ricorda: “Il termine “gaglioffo” ha diverse sfumature. 
Nel dizionario Utet significa “inetto”. Comunque sia ribadirei il concetto, anzi, lo aggraverei definendoli traditori della Costituzione”. Il magistrato genovese aggiunge ancora: “La misura e la continenza debbono essere valutate in rapporto al contesto, che qui è di sovvertimento dei ruoli istituzionali e della legalità e di deformazione dell’ordinamento fondato sulla Costituzione”. 
Ma il Csm condanna Sansa alla sanzione disciplinare della censura. Nel frattempo al Tribunale dei Minori di Genova, presieduto dal magistrato, arrivano gli ispettori che, però, promuovono il funzionamento dell’ufficio. Ancora: nei mesi scorsi Sansa viene convocato a Roma, a Palazzo dei Marescialli. Il Csm chiede chiarimenti sul funzionamento del Tribunale dei Minori. Si mette in discussione la conferma di Sansa all’ufficio direttivo.
A sollevare la questione è il membro laico Bartolomeo Romano che, come ha ricordato Liana Milella, ha lavorato al ministero con Alfano: “Romano di professione avvocato, ma anche ordinario di diritto penale all’università di Palermo. 
Famoso in città per aver chiesto, assieme al suo collega Alberto Stagno d’Alcontres, una parcella da 15 milioni di euro (sette e mezzo a testa) per prestazioni professionali alla municipalizzata per i rifiuti Amia”. 
Lo stesso Romano che, unico nel plenum del Csm, votò contro il distacco di un magistrato nel caso Mills, rischiando così di far ricominciare il processo a Berlusconi con la prescrizione incombente. 
Dopo la “censura” disciplinare, Sansa commenta: “Rispetto la decisione della Cassazione, ma dentro di me il dubbio rimane. 
Mi viene da pensare che, con le debite proporzioni, negli anni di opposizione al fascismo chi ha fatto resistenza ha commesso qualcosa di illegale secondo le leggi dell’epoca”. 
Aggiunge: “Nessun ribellismo, ma abbiamo attraversato un periodo in cui la democrazia è stata corrosa. Ognuno di noi ha reagito come ha creduto possibile, quando l’Italia, come ha scritto il politologo Giovanni Sartori, stava diventando un “sultanato”. 
Ora mi si dice che non era permesso e ne prendo atto. Non mi autoassolvo, francamente non so come mi sarei giudicato, ma in coscienza continuo a chiedermi se davvero ho sbagliato. Non lascio la magistratura”. Non è la prima volta che Sansa viene chiamato dal Csm a rispondere delle sue prese di posizione, anche dure, sulla questione morale e la politica giudiziaria. Una battaglia che in passato gli era già costata sei inchieste disciplinari (tutte archiviate dal Csm), ma che gli valse, tra l’altro, la solidarietà di Sandro Pertini. “Rivendico – conclude Sansa – il diritto per i magistrati, come cittadini, di esprimere le proprie opinioni. 
Credo che i giudici più anziani debbano rischiare per testimoniare i valori che sono stati alla base del loro lavoro di una vita”.

martedì 27 dicembre 2011

Giorgio Bocca: “Tutti i regimi alla fine cadono”

(da ilfattoquotidiano.it)


Il decano del giornalismo italiano compie novanta anni e racconta la sua carriera. Fino ai giorni nostri:"Berlusconi è peggiore di Mussolini"


Giorgio Bocca sarà festeggiato per i suoi novant’anni, il 18 agosto, in un momento complicato per il Paese, “difficile per la democrazia”, dice. Partigiano, giornalista, ha fatto un pezzo della storia del giornalismo italiano. E oggi assiste allo spettacolo di giornali e tv poveri di notizie e ricchi invece di silenzi, omissioni, dossier e ricatti.

Cominciò negli anni Sessanta, dopo la gavetta alla Gazzetta del popolo, con il Giorno di Italo Pietra, che cambiò la maniera di fare giornalismo: “Era il 1962 – racconta – Pietra mi chiama e mi dice: devi scoprire che cos’è l’Italia reale. Vai a vedere che cosa c’è a Vigevano. E io pensavo: ma questo che cosa dice? Chi se ne importa di Vigevano! Invece ci sono andato e ho scoperto che c’era davvero un mondo da raccontare. Era il boom economico, il grande cambiamento dell’Italia. Come editore avevamo Enrico Mattei: un avventuriero con grande passione per il giornalismo e grandi mezzi. Ha profuso miliardi nel giornale”.

C’era anche un gruppo di giornalisti che cambiato il modo di raccontare la politica e soprattutto la società italiana. 
Certo, è vero. Il giornalismo, la notizia, l’inchiesta erano preminenti su tutto. Ma devo dire che avere alle spalle un editore che non badava a spese aiutava… Poi il Giorno è finito già subito dopo la morte di Mattei. È arrivato Gaetano Afeltra, la negazione del giornalismo. E l’Eni di Raffaele Girotti viveva il Giorno come un fastidio.

Sarà forse morto il Giorno, ma non la maniera di fare giornalismo che avevate inventato. 
Il nostro gruppo è passato quasi tutto a Repubblica. Lì la cosa nuova è che c’era come direttore un grande giornalista, Eugenio Scalfari, che è un vero direttore d’orchestra. Vedo che nel Fatto quotidiano ci sono gli stessi principi ispiratori. A volte siete un po’ disordinati ed eccessivi, e pretendete di poter scrivere tutto. Ma almeno ogni tanto dite qualcosa, e questo spiega il vostro successo. Forse vi manca quello che avevamo noi al Giorno: molti mezzi, un grande editore alle spalle.

Oggi il giornalismo prevalente, in tv e nei giornali, le notizie proprio non le ama…
Non ci sono più editori che credono nel mercato delle notizie. Conta di più la pubblicità. Come si fa a essere liberi di scrivere tutto quello che si vuole, se poi gli inserzionisti ti tolgono la pubblicità? E poi è arrivato il gossip, il pettegolezzo si è impossessato di tutti i giornali. Anche i migliori (compresa Repubblica) sparano pagine e pagine di pettegolezzi e istruzioni su come si fanno le marmellate. In passato, lo scontro politico era durissimo, eppure la destra non ha mai attaccatoPalmiro Togliatti per il fatto che andasse a letto con Nilde Iotti. C’era comunque un rispetto delle persone e della loro vita privata. Oggi invece tutto può essere usato come arma per la lotta politica. Non ci sono più direttori capaci di stabilire confini di tipo etico. Imperversa lo stile di giornalismo diVittorio Feltri, uno che è stato cacciato dal Corriere perché faceva scandalismo e ora, da direttore, ha imposto il suo modello a tutti.

Anche tu hai ricevuto attacchi duri, hanno scritto che il partigiano Bocca era stato fascista.
Sì, dopo aver fatto venti mesi di guerra partigiana, mi hanno rinfacciato un articoletto scritto su un giornaletto del Guf a 17 anni, quando ancora non avevo conosciuto che cos’era il fascismo. Quando l’abbiamo capito, l’abbiamo combattuto con le armi. È stato doloroso ricevere quell’attacco. Ho scoperto che gli uomini sono carogne. Nella vita puoi fare quello che vuoi, puoi diventare anche un eroe, ma c’è sempre chi cerca di inchiodarti per sempre a un particolare del tuo passato. Non ho mai risposto. Mia moglie mi ha detto: se ciò che ti possono rimproverare in una vita è tutto qui, allora stai tranquillo.

Oggi si fa anche di peggio, si organizzano campagne di denigrazione e ricatti, da Boffo a Fini. E si accumulano dossier.
Fini oggi dice cose politicamente intelligenti. Ma io non riesco a fidarmi di uno che, potendo scegliere tra democrazia e Repubblica di Salò, sceglie Salò e i nazisti e diventa missino. E dopo, come mai non si è accorto che la moglie e il cognato sono dei profittatori e dei traffichini? Sta di fatto, però, che l’opinione pubblica italiana oggi accetta come normale che il presidente del Consiglio usi anche i Servizi segreti per le sue lotte politiche personali.

Al centro di questa scena, a controllare sistema mediatico e apparati dello Stato, c’è Silvio Berlusconi. 
Credo che sia ingenuo pensare che l’attuale situazione politica dell’Italia sia determinata soltanto dalla presenza di Berlusconi. Lui è l’uomo fatale che ha capito che cosa vogliono gli italiani, che il Paese ha bisogno di fascismo. È l’uomo giusto al momento giusto, con la sua capacità di menzogna, di raccontare cose che non ci sono, di trasformare quattro casette in Abruzzo nel miracolo della ricostruzione… Non è Berlusconi ad aver provocato questa situazione, sono gli italiani ad amare questa maniera di fare politica. Siamo l’unico Paese dell’occidente che per due volte sceglie una strada autoritaria, prima il fascismo e ora Berlusconi. In Germania, in Francia, vicende così non si sono ripetute. Negli Stati Uniti, l’opinione pubblica si fa sentire. Dopo i Nixon e i Bush, arriva Obama. Qui no.

Berlusconi è diverso da Mussolini.
Ma non migliore. Semmai è peggiore: nel fascismo di Mussolini c’era una reazione etica, il suo regime è stato meno corrotto della precedente amministrazione liberale. Oggi Berlusconi riesce invece a essere autoritario (i dissidenti li licenzia, è naturalmente incompatibile con la democrazia) e anche a imporre le cricche come metodo di governo. Riesce a far apprezzare anche il suo malgoverno. In fondo, le cricche che vengono scoperte hanno schiere di ammiratori segreti, i quali pensano: capitasse anche a noi di essere come loro, di ottenere finanziamenti dello Stato, di avere soldi e potere…

Ma Berlusconi oggi è all’inizio della sua crisi o alla vigilia di un suo nuovo trionfo? Riccardo Chiaberge ha scritto che teme di essere non al 24 luglio 1943, vigilia della caduta di Mussolini, ma al 6 aprile 1924, quando il Partito nazionale fascista prese il 61 per cento dei voti e il regime si consolidò.
L’unica speranza che ho è che alla fine tutti i regimi cadono. È caduto anche il nazismo, che aveva sistemi di controllo più violenti, finirà anche il berlusconismo. Non so quando, la crisi potrà essere lunga. Del resto, è un regime senza opposizione: la sinistra ragiona con la stessa testa del berlusconismo, ha dimenticato, per esempio, l’egualitarismo e fa ogni giorno l’elogio delle differenze sociali. La crisi però c’è, questo tardocapitalismo senza regole, né etiche, né religiose, è destinato ad andare verso una sua apocalisse: divora tutto ciò che c’è, le fonti d’energia, il territorio, l’ambiente, senza curarsi del domani. Consuma il presente senza avere più una idea di futuro. Quanto potrà durare tutto ciò?

Una visione un po’ cupa…
Uno come me in un periodo come questo ha il dubbio: sono io che sono troppo pessimista, che non capisco il presente? Ma vedo il mondo del tardo capitalismo diventare feroce. Il crollo del comunismo si è dimostrato una fregatura: quel modello opposto almeno obbligava anche il capitalismo a stabilire regole e un ordine di valori. Adesso invece vale tutto e contano solo i soldi. Niente regole etiche. L’unica regola è fare soldi, anche rubando. E l’unico disonore è perdere soldi. Una volta se un industriale faceva bancarotta, si sparava. Oggi onorabilità, amor proprio, rispetto, professionalità non contano niente. Mi stupisce che la Chiesa su questo sia assente: ha rinunciato del tutto a proclamare la necessità di un’etica. Uno considerato un grande manager, come Sergio Marchionne, dice che l’unica cosa che importa sono i conti e mette in discussione il diritto di sciopero. E se non vi va bene, dice, sposto la produzione in Serbia: non si era vista una cosa così dal tempo degli imperi. E di questo i giornali non si occupano, o fanno finta che non sia importante.

Nel 1992 hai sdoganato la Lega, votando a Milano il sindaco Marco Formentini.
Nell’amministrazione i leghisti erano gente in gamba e Umberto Bossi, dopo Tangentopoli, poteva dire: nel mio partito non si ruba. Adesso anche lui ha cedimenti, con quel figlio che ha: una roba un po’ coreana…

Citi spesso il generale Carlo Alberto dalla Chiesa. Un uomo di cui pure non condividevi i metodi antiterrorismo, a cui hai fatto l’ultima intervista prima che fosse ucciso dalla mafia.
Siamo tutti e due piemontesi, ma il generale Dalla Chiesa può sembrare il mio opposto: io sono azionista, giellista, mentre lui era un carabiniere, diceva di avere gli alamari cuciti sulla pelle. Però era una persona rigorosa che ha combattuto il terrorismo più con l’intelligenza che con la forza. Finalmente un funzionario dello Stato che fa il suo mestiere: era carabiniere e faceva il carabiniere. E poi aveva capito le connivenze tra Stato e mafia. Nella sua intervista-testamento mi ha confermato che metà dei ministri lo aveva abbandonato: e la mafia ti uccide quando sei solo. ComeMattei, come Falcone Borsellino, è stato ammazzato sapendo che sarebbe stato ucciso. In Italia succede così.

G. Bocca: "il PD è come il PSI di Craxi"

(da ilfattoquotidiano.it)


Il giornalista: "In quanto a onestà la sinistra è la stessa cosa della destra. Bersani non dovrebbe fare un passo indietro, ma buttarsi a mare. Il pericolo, ora, è che questa classe dirigente (tutta) faccia un golpe per evitare la galera"


Due squilli e il ricevitore si alza. Poi non fai nemmeno in tempo a concludere una domanda – sulla questione morale a sinistra – che la risposta è questa: “Ma è la solita storia della corruzione politica: tutti i partiti, in tutte le epoche, quando amministrano hanno bisogno di soldi e li rubano. Nulla di nuovo sotto il sole”. Dall’altra parte, l’accento cuneese di Giorgio Bocca, scrittore e firma di Repubblica dell’Espresso. Che, con il tono mite di un neo 91enne, aggiunge il seguente siluro: “Soprattutto nulla di nuovo rispetto a Craxi”.
Vede analogie tra il Pd e i tempi d’oro del Psi piglia-tutto?
Macché analogie. Vedo un’assoluta identità.
Perché?
Craxi diceva: i mariuoli ci sono ma i soldi servono ai partiti. L’unica cosa che si capisce da questa vicenda è che la sinistra è la stessa cosa della destra, quanto a onestà.
Ce lo spieghi meglio. 
C’è poco da spiegare: rubano tutti. Tutti i politici hanno lo stesso interesse: avere il potere e fare soldi. La via è comune.
Nella sua similitudine tra Pd e Psi non torna solo la lungimiranza. Il partito di Craxi fu annientato dagli scandali. Il Pd vuol fare la stessa fine? Non è vero che la storia insegna? 
Historia magistra? Mah. Guardi, le dico questo: alla fine della Guerra io e altri partigiani pensavamo che il Partito socialista avrebbe cambiato il modo di fare politica in Italia. Nel giro di pochi anni tutte le persone per bene e oneste sono state cacciate da quel partito. Dove sono rimasti solo i furbi e i ladri. Vuol farmi dire che la politica è cambiata? Non lo penso.
Non voglio farle dire nulla: le chiedo come può la dirigenza del Pd essere così miope. 
Non c’è nessun disegno politico, questa è la cosa grave. C’è l’istinto, in chi fa politica, di usare i mezzi più facili.
Quali sono?
Mettere le mani sul denaro e corrompere. Non mi pare si tratti di altro.
Tangentopoli non è servita. 
Vista dal punto di vista di uno storico no. Andiamo ancora più indietro. Che ha fatto Giulio Cesare quando aveva consumato il suo patrimonio? S’è fatto mandare in Spagna, dove ha rubato talmente tanto che è tornato a Roma ricchissimo. Ha armato un esercito e si è impadronito del potere. Le dinamiche sono abbastanza chiare.
Bersani dovrebbe fare un passo indietro, considerando i suoi rapporti stretti con Penati?
Altro che far passi indietro. Dovrebbe fare un tuffo nel mare.
Ci sono stati tempi in cui la politica era diversa?
Forse solo nelle grandi emergenze, durante le guerre, si sono visti politici onesti e disposti anche a farsi fucilare per la libertà. Ma quando la politica diventa amministrazione scade, di solito, a un livello bassissimo. Non conosco oggi un politico che sia stimabile come persona privata. Un uomo come me, che a vent’anni comandava una divisione partigiana, aveva tutte le opportunità di impegnarsi in politica. Ma ho capito immediatamente che era un rischio da non correre. E non me ne sono pentito. Mai.
Così non c’è scampo. 
Come si fa a sperare? Io non vedo segni di cambiamento.
Non dappertutto è così. Nella maggior parte dei Paesi a regime democratico l’etica pubblica è un valore. 
Dove si sono stabilite – almeno in minima parte – le regole del gioco, il codice viene rispettato. Noi le avevamo stabilite, ma le abbiamo anche mandate all’aria. Dopo la guerra partigiana e la Liberazione dell’Italia, l’onestà è stata, per quasi mezzo secolo, un valore condiviso. Allora i partiti rubavano, ma lo facevano con cautela e vergognandosene quando venivano scoperti. Ora si ruba senza nemmeno vergogna.
È una questione statistica. Essere indagati o imputati, per i politici, fa quasi curriculum…
Sì, è un metodo. Un sistema: lo diceva oggi (ieri, ndr) nel suo articolo sul Fatto Nando Dalla Chiesa, una persona che stimo, come del resto stimavo molto suo padre. Però anche lui non scrive a chiare lettere: lì c’è gente che ruba. Con i nomi e i cognomi.
Siamo ancora nella fase delle indagini preliminari. Diventa un reato fare certe affermazioni prima dei processi. 
Sì, ma mi ha stupito il tono di Dalla Chiesa, troppo leggero. Oggi è impossibile dire a un politico che ha rubato “hai rubato”. Ma allora cos’è questo giro di affari, soldi, tangenti?
Bersani, all’alba della vicenda Penati, minacciò querele a destra e a manca. 
È vero, infatti mi sono ben guardato dallo scrivere articoli sull’argomento. Le querele volano e i giornali nemmeno ti sostengono. Un tempo mi sarei lanciato nella discussione, stavolta non l’ho fatto anche con un senso di paura.
Al di là dell’opportunità, secondo lei dire “faremo una class action contro i giornalisti” è un discorso politico?
La classe politica rivendica il diritto di far paura alla stampa.
Più che politica è arroganza. 
I potenti dicono: state zitti perché comandiamo noi.
Non sono comportamenti molto diversi da quelli dei partiti di governo. 
Berlusconi è più moderno, ha capito che con il denaro si risolve tutto. La sua calma si legge così: io li compro e tanti saluti. Gli altri, semplicemente, non hanno abbastanza soldi. E hanno delle preoccupazioni d’immagine. Ma come fa Penati a difendersi?
I democratici si sentono – e si professano – molto diversi dal centrodestra. 
Certo che si dicono diversi. Lo fanno perché agli occhi della pubblica opinione non vogliono apparire uguali agli altri. Uguali ai ladri.
Vede pericoli?
L’unico pericolo è che questa intera classe dirigente, per non andare in galera, faccia un golpe.
Un loro azzeramento no?
Proveranno a tirare avanti, come han fatto fino a ora. Chi ha i soldi se la cava. Cesare è ricordato come uno dei più grandi uomini politici della romanità ed era uno che confessava candidamente di aver rubato. Però potrebbe arrivare anche un moto d’ira popolare che li manda tutti a casa. Mi trovo di fronte a un’umanità incomprensibile. Un politico che ruba, sa di essere al di fuori dell’etica. Eppure lo fa. Io veramente non li capisco.
Crede che la prudenza dei vertici del partito sulla questione Penati vanificherà il successo delle amministrative e dei referendum?
Mi pare che ci sia un fraintendimento su questo nuovo interessamento alla politica. Lo scambiamo per un cambiamento morale. Ma è più che altro una moda.
Ha compiuto 91 anni tre giorni fa…
… quindi posso dire tutto, anche le sciocchezze?
No, le chiedevo cosa direbbe a un ragazzo italiano di vent’anni. 
Gli direi: “Non rubare”. Si vive meglio da onesti. L’onestà è l’unica riserva per sopportare questa vita terrena, che è piena di insidie e porcherie.
Evangelico.
Certo. Sono sempre più cattolico.

La bambina che zittì il Mondo per 6 minuti (Nazioni Unite 1992)

venerdì 23 dicembre 2011

2012: tre ragioni per essere meno pessimisti


Il Pil italiano è calato nel terzo trimestre 2011 dello 0,2 per cento. E le stime per il prossimo anno sono tutte negative. Ma è presto per fasciarsi la testa. Con l’euro che si deprezza, il quadro sarà grigio per il mercato interno e più roseo per l’estero, come già nel 2010 e 2011. E se l’aggiustamento fiscale sarà efficace e accompagnato da una svalutazione fiscale, già nel secondo semestre 2012 potrebbero arrivare sorprese positive da consumi e investimenti.
di Francesco Daveri*, Lavoce.info 


Oggi sono tutti d’accordo: nel 2012 ci sarà una seria recessione. Quanto “seria” lo ha quantificato il Centro studi Confindustria (Csc) che per il 2012 ha previsto un calo del Pil pari all’1,6 per cento. La stima del Csc è più pessimista (ma anche più recente) di quelle del Fondo monetario, della Commissione Europea e del governo. C’è poi chi (ad esempio, Sergio De Nardis) si basa sull’esperienza passata e sui calcoli del Fmi, concludendo che la previsione Csc è ancora ottimistica e che il vero calo del Pil 2012 per l’Italia potrebbe arrivare a 3 punti percentuali.
In realtà già un meno 1,5 per cento di crescita per il 2012 sarebbe un brutto colpo per la tenuta dei conti pubblici dell’Italia così faticosamente “messi in sicurezza” con le manovre dei governi Berlusconi e Monti. Con un Pil a meno 1,5, le entrate fiscali sarebbero minori del previsto e ci vorrebbe più spesa pubblica per assistere i nuovi disoccupati e cassintegrati. E il deficit 2012 non sarebbe più pari a 20 miliardi, l’1,2 per cento del Pil previsto dal governo, ma un numero più grande. Una regola calcolata per il passato dice che il deficit aumenta di circa mezzo punto di Pil per ogni punto di Pil perso. Dunque un calo di un punto e mezzo del Pil – un punto percentuale inferiore alle previsioni incorporate nella manovra – obbligherebbe Mario Monti a trovare altri 7,5 miliardi di euro per far quadrare i conti.

Insomma, se nel 2012 arriverà davvero una forte recessione, Monti dovrà fare un’altra manovra o contrattare una dilazione nei termini dell’aggiustamento fiscale con l’Europa e, in modo più cruciale, con i mercati. Capire se e in che misura l’attuale pessimismo sia giustificato o se esistano margini per essere meno pessimisti è quindi molto importante. In effetti, a mio avviso, l’ottimismo – il minor pessimismo – può avvalersi di tre argomenti principali.

Le previsioni non peccano sempre di ottimismo

Una prima cosa da considerare è che le previsioni economiche non peccano sempre di eccessivo ottimismo, anzi. Gli esempi di “al lupo, al lupo” abbondano. Prima dell’estate 2011 la quasi totalità dei commentatori aveva dato per morta e sepolta la ripresa Usa, schiacciata dai debiti privati, da un mercato immobiliare fermo, dalla disoccupazione cocciutamente alta. Invece, se guardiamo ai dati 2011, vediamo che, dopo il quasi stop del primo trimestre 2011, l’economia americana ha fatto registrare crescite trimestrali dello 0,3 e dello 0,5 per cento nel secondo e terzo trimestre 2011. E la crescita 2011 è venuta dopo una crescita del 3 per cento nel 2010 rispetto al 2009. La capacità di reazione dell’America dopo la crisi ha dunque finora sorpreso i pessimisti. Lo stesso può dirsi anche dell’economia cinese, data sempre in rallentamento negli ultimi dodici mesi, ma che continua a esibire una crescita non lontana dal 9 per cento. E anche per l’Italia non sempre le previsioni sono azzeccate: nei trimestri successivi all’inizio della ripresina 2009-2010 il cosiddetto superindice dell’Ocse aveva previsto un’economia italiana in recessione già nel terzo trimestre 2010. Certo, la crescita italiana ha continuato a essere modesta e pericolosamente vicina allo zero, ma la recessione – fino al secondo trimestre 2011 incluso – non si è vista. Anche di fronte al pessimismo unanime di oggi vale dunque la pena di porsi qualche domanda in più su come sarà davvero il 2012.

Mettere una pezza al problema può migliorare la fiducia

Ci sono poi altri due motivi più sostanziali di ottimismo (o minor pessimismo). Primo, la manovra Monti, per quanto ingiusta, recessiva e fatta di tasse al 92,5 per cento (per 18,5 miliardi su 20), interviene su una situazione già molto deteriorata. Durante l’estate 2011 c’è stato un drastico peggioramento della fiducia delle famiglie e delle imprese bombardate quotidianamente di cattive notizie, dall’Europa e dall’Italia. Il peggioramento di fiducia ha prodotto tangibili conseguenze negative sui dati congiunturali già nella seconda metà del 2011. I consumi delle famiglie e il Pil sono diminuiti dello 0,2 per cento nel terzo trimestre 2011, mentre il calo trimestrale della spesa pubblica e degli investimenti ha superato il mezzo punto percentuale. Non per caso l’indice della produzione industriale è tornato a valere 86,5 nell’ottobre 2011, cioè tre punti in meno rispetto al suo valore di ottobre 2010 e solo un punto in più del suo valore eccezionalmente basso dell’ottobre 2009. Lo stesso vale per fatturato e ordinativi: gli ordini dell’industria di ottobre 2011 valgono quattro punti meno che nello stesso periodo del 2010 e l’aumento di un punto del fatturato (a prezzi correnti) è poca cosa rispetto al ben più consistente aumento di costi subito dal settore nel corso del 2011. È naturale mettere in connessione il brusco peggioramento della congiuntura economica italiana nel secondo semestre 2011 alle cattive notizie europee e italiane che si sono succedute durante l’estate. Questo vuol dire che, molto prima della manovra Monti, sono state le cattive notizie sul futuro dell’Unione e le esitazioni estive del governo Berlusconi ad aver causato la recessione. Invece, come spiegava già molti anni fa l’attuale capo economista del Fondo Monetario Olivier Blanchard, l’approvazione di una manovra dura e piena di tasse quanto si vuole, ma che riesca ad allontanare lo spettro dal fallimento dall’economia italiana, se efficace nel contenimento del deficit, potrebbe portare a un assestamento delle aspettative per il futuro. Subite le bastonate di fine 2011 e inizio 2012 sulle tredicesime, sulla casa e sugli scaffali dei supermercati, le famiglie potrebbero ricominciare a consumare e le imprese a investire già nel corso del 2012.

Svalutare si può ed è efficace

Un’altra ragione addotta dai pessimisti è che l’Italia si troverebbe nel 2012 ad adottare politiche di bilancio restrittive senza potersi avvalere della svalutazione come strumento per riguadagnare competitività.  È vero: in passato la stretta fiscale di Amato fu addolcita dalla svalutazione del 20 per cento della lira, che oggi non c’è più. Ma non è vero che l’Italia non possa più avvalersi del deprezzamento del cambio. In realtà, lo sta già facendo. Proprio grazie alla crisi dei debiti sovrani, il cambio dell’euro nei confronti del dollaro, nonostante la politica monetaria super-espansiva della Fed, si è già svalutato del 10 per cento negli ultimi sei mesi. Un euro basso non aiuta le imprese italiane a esportare di più nell’area euro, ma le aiuta eccome a penetrare i mercati fuori dall’area euro, a cominciare da Svizzera, Stati Uniti, Russia e gli altri paesi emergenti, che in totale ormai rappresentano il 55 per cento circa dell’export totale dell’Italia. E c’è ragione di pensare che nel 2012 il guadagno di competitività continui. Progressi rapidi nei tentativi di rabberciare le istituzioni dell’Europa non sono in vista. Ma se anche a marzo 2012 si arrivasse a un nuovo grande accordo pan-europeo, non sarà attuato tanto in fretta. Nel frattempo, l’euro dunque continuerà a indebolirsi gradualmente. Non fino al collasso, però: i tedeschi hanno troppo da guadagnare dall’esistenza dell’euro, come testimonia il basso livello dei tassi che pagano sul loro debito pubblico, l’entità dei loro avanzi di bilancia commerciale verso l’Europa e verso il resto del mondo e la composizione degli attivi delle loro banche straboccanti di attività denominate in euro. Alla signora Merkel conviene continuare a sostenere lenti, ma continui progressi verso l’attuazione delle riforme discusse negli ultimi mesi. Se sarà così, anche nel 2012, come già nel 1993, la stretta fiscale sarà addolcita dalla svalutazione – dell’euro anziché della lira.
Nell’insieme, è legittimo aspettarsi un quadro grigio per i primi mesi del 2012, ma questo vale, come già nel 2010 e nel 2011, più per il mercato interno che per quello estero. Se l’aggiustamento fiscale sarà efficace e sarà accompagnato da misure più incisive volte a conseguire una svalutazione fiscale che complementi quella del cambio deprezzato, già nel secondo semestre 2012, invece della Grande Depressione, potrebbero arrivare sorprese positive da consumi e investimenti.


Francesco Daveri è professore ordinario di Politica Economica presso l’Università di Parma. Insegna anche nel programma MBA della Scuola di Direzione Aziendale dell’Università Bocconi. Ha collaborato con la Banca Mondiale, il Ministero dell’Economia e la Commissione Europea. Scrive sul Sole 24 Ore ed è membro del Comitato di redazione de LaVoce.info. La sua attività di ricerca riguarda soprattutto la relazione tra innovazione, produttività e crescita. Oltre a numerosi articoli su riviste internazionali e italiane, ha scritto Centomila punture di spillo con Carlo De Benedetti e Federico Rampini (Mondadori, 2008) e Innovazione cercasi (Laterza, 2006).