DEFINÌ “GAGLIOFFI” GLI ESPONENTI DELL’ALLORA GOVERNO, PER IL CSM È “AGGRESSIONE ALLA REPUTAZIONE”
La Cassazione conferma: censura disciplinare a un magistrato che ha criticato il governo Berlusconi durante un’assemblea dell’Associazione Nazionale Magistrati. Ad Adriano Sansa, presidente del Tribunale dei Minori di Genova, è riuscita un’impresa di cui non erano stati capaci magistrati protagonisti di imbarazzanti intercettazioni e frequentazioni emerse nelle inchieste Calciopoli, P3 e P4.
Nessun provvedimento disciplinare era stato preso nei loro confronti. Censura per Sansa, dunque.
Viene confermata la decisione del Consiglio Superiore della Magistratura.
Il caso scoppia nel 2008, all’epoca delle accesissime polemiche sulla politica giudiziaria del governo Berlusconi e sulle leggi ad personam. L’Anm di Genova convoca un’assemblea. Viene invitato a parlare Sansa, che negli anni Settanta faceva parte dei cosiddetti Pretori di Assalto, protagonisti delle prime inchieste italiane sulla corruzione (scandalo dei petroli) e sull’ambiente.
Sansa non risparmia le critiche dure al Cavaliere e al Governo: occorre una “resistenza della cultura e della coscienza al disegno di assoggettare la legge a un gruppo di potere, a un primo ministro piduista circondato da persone che servono lui e non lo Stato”.
Ancora: “Questo governo è indegno di affrontare il tema della giustizia, con un Guardasigilli il cui unico merito è di essere un fedelissimo di Berlusconi. Dobbiamo pensare a preparare l’altra riforma, quella che, andati via certi gaglioffi, ripristinerà la giustizia”.
QUELLA PAROLA, “gaglioffi”, dà il via al procedimento disciplinare. Sansa, si legge negli atti, è incolpato di “deliberata e gratuita aggressione alla dignità e alla reputazione degli esponenti del Governo” e quindi di “lesione dell’immagine della figura del magistrato”. Sansa non fa un passo indietro, difende il diritto di critica.
Nella sua memoria difensiva ricorda: “Il termine “gaglioffo” ha diverse sfumature.
Nel dizionario Utet significa “inetto”. Comunque sia ribadirei il concetto, anzi, lo aggraverei definendoli traditori della Costituzione”. Il magistrato genovese aggiunge ancora: “La misura e la continenza debbono essere valutate in rapporto al contesto, che qui è di sovvertimento dei ruoli istituzionali e della legalità e di deformazione dell’ordinamento fondato sulla Costituzione”.
Ma il Csm condanna Sansa alla sanzione disciplinare della censura. Nel frattempo al Tribunale dei Minori di Genova, presieduto dal magistrato, arrivano gli ispettori che, però, promuovono il funzionamento dell’ufficio. Ancora: nei mesi scorsi Sansa viene convocato a Roma, a Palazzo dei Marescialli. Il Csm chiede chiarimenti sul funzionamento del Tribunale dei Minori. Si mette in discussione la conferma di Sansa all’ufficio direttivo.
A sollevare la questione è il membro laico Bartolomeo Romano che, come ha ricordato Liana Milella, ha lavorato al ministero con Alfano: “Romano di professione avvocato, ma anche ordinario di diritto penale all’università di Palermo.
Famoso in città per aver chiesto, assieme al suo collega Alberto Stagno d’Alcontres, una parcella da 15 milioni di euro (sette e mezzo a testa) per prestazioni professionali alla municipalizzata per i rifiuti Amia”.
Lo stesso Romano che, unico nel plenum del Csm, votò contro il distacco di un magistrato nel caso Mills, rischiando così di far ricominciare il processo a Berlusconi con la prescrizione incombente.
Dopo la “censura” disciplinare, Sansa commenta: “Rispetto la decisione della Cassazione, ma dentro di me il dubbio rimane.
Mi viene da pensare che, con le debite proporzioni, negli anni di opposizione al fascismo chi ha fatto resistenza ha commesso qualcosa di illegale secondo le leggi dell’epoca”.
Aggiunge: “Nessun ribellismo, ma abbiamo attraversato un periodo in cui la democrazia è stata corrosa. Ognuno di noi ha reagito come ha creduto possibile, quando l’Italia, come ha scritto il politologo Giovanni Sartori, stava diventando un “sultanato”.
Ora mi si dice che non era permesso e ne prendo atto. Non mi autoassolvo, francamente non so come mi sarei giudicato, ma in coscienza continuo a chiedermi se davvero ho sbagliato. Non lascio la magistratura”. Non è la prima volta che Sansa viene chiamato dal Csm a rispondere delle sue prese di posizione, anche dure, sulla questione morale e la politica giudiziaria. Una battaglia che in passato gli era già costata sei inchieste disciplinari (tutte archiviate dal Csm), ma che gli valse, tra l’altro, la solidarietà di Sandro Pertini. “Rivendico – conclude Sansa – il diritto per i magistrati, come cittadini, di esprimere le proprie opinioni.
Credo che i giudici più anziani debbano rischiare per testimoniare i valori che sono stati alla base del loro lavoro di una vita”.